C’è qualcosa di sconcertante in questo particolare circolo vizioso. È senz’altro molto difficile concepire la serietà come qualcosa di cieco di fronte a minacce che possono cambiare la vita. E se l’urgenza di un argomento è un buon criterio per valutarne la serietà, bè, visto ciò che lascia presagire per il futuro della terra, credo che cambiamento climatico dovrebbe essere la principale preoccupazione degli scrittori di tutto il mondo – E non è così, mi pare.
Ma perché? Forse le correnti del surriscaldamento globale sono troppo impetuose per navigarle con inconsueti vascelli della narrazione? La verità, com’è ormai ampiamente dimostrato, È che siamo entrati in un’epoca in cui l’impetuosità è diventata la norma: se certe forme letterarie sono incapaci di vedersela con simili flutti, significa che hanno fallito, E i loro fallimenti dovranno essere visti come un aspetto del più generale fallimento immaginativo e culturale che sta al cuore della crisi climatica. (p.14)
Il problema non è certo dovuto a carenza di informazioni: oggigiorno sono pochissimi gli scrittori ignari delle alterazioni climatiche in ogni area del mondo. Eppure, quando decidono descrivere scrivere del cambiamento climatico, I romanzieri non occupano quasi mai per la narrativa. (p.15)
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Vorrei spingermi oltre e aggiungere che l’Antropocene rappresenta una sfida non solo per le arti e le scienze umane, ma anche per il nostro modo abituale di vedere le cose, E per la cultura contemporanea in generale. Non c’è dubbio che tale sfida nasca dalla complessità del linguaggio tecnico che utilizziamo come lente primaria sul cambiamento climatico, ma di certo deriva anche dalle pratiche e dai presupposti che guidano le arti e scienze umane. Stabilire come avviene tutto ciò è, credo, della massima urgenza: potrebbe addirittura essere la chiave per capire perché la cultura contemporanea trovi così difficile affrontare la questione del cambiamento climatico. A ben vedere, È forse il problema principale con cui deve vedersela la cultura nella sua accezione più ampia –inutile negare che la crisi climatica sia anche una crisi della cultura e pertanto dell’immaginazione.
La cultura induce desideri – di mezzi di trasporto, elettrodomestici, un certo tipo di giardini e case- che sono fra i principali motori dell’economia basata sui combustibili fossili. Una veloce decappottabile non ci entusiasma perché amiamo il metallo e le cromature, ne è un’astratta conoscenza della sua tecnologia, bensì perché evoca l’immagine di una strada che guizza in un paesaggio incontaminato; pensiamo alla libertà e al vento nei capelli; ci sembra di vedere James Deani e Peter fonda che sfrecciano verso l’ orizzonte; pensiamo a Jack Kerouac E a Vladimir Nabokov. (p.16)
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Quando vediamo un prato verde che stato innaffiato con acqua desalinizzata, a Abu Dhabi, nella California meridionale ho in qualche altro posto dove un tempo la gente si accontentava di usare con parsimonia la propria acqua per bagnare una singola vite un arbusto, ci troviamo di fronte alla realizzazione di un sogno che potrebbe risalire ai romanzi di Jane Austen. I manufatti e le materie prime evocati da tali desideri esprimono e al tempo stesso nascondono la matrice culturale che gli ha provocati.
Questa cultura è intimamente legata alla più avanti a storia dell’imperialismo del capitalismo che hanno plasmato il mondo. Ma saperlo non significa ancora conoscere davvero le specifiche modalità in cui tale matrice interagisce con le diverse forme di produzione culturale: poesia, arte, architettura, Teatro, narrativa e così via. Nel corso della storia simili espressioni culturali hanno saputo affrontare la guerra, le catastrofi ambientali di molte altre crisi, perché dunque una così strenua resistenza ad affrontare il cambiamento climatico? (p.17)
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In un mondo sostanzialmente alterato, un mondo in cui l’innalzamento del livello dei mari avrà inghiottito le Sundarban e reso inabitabili città come Kolkata, New York e Bangkok, I lettori e i frequentatori di musei si rivolgeranno all’arte e alla letteratura della nostra epoca cercandovi innanzitutto tracce segni premonitori del mondo alterato che avranno ricevuto in eredità. E non trovandone, cosa potranno, cosa dovranno fare, se non concludere che nella nostra epoca arte e letteratura venivano praticate perlopiù in modo da nascondere la realtà cui si andava incontro? E allora questa nostra epoca così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità. (p.18)
(estratti da La grande cecità di Amitav Gosh, editore Neri Pozza, 2005)